Ma ancora meglio: perché il mondo del lavoro ha bisogno delle donne
Quando si parla di lavoro femminile, lo scenario è complesso: si rimarcano differenze non solo tra uomini e donne ma anche tra donne a seconda di età, provenienza geografica ed eventuali familiari di cui farsi carico.
È importante conoscere i numeri, analizzare le statistiche. Di certo solo diventando veramente consapevoli del quadro attuale possiamo lavorare per costruire un nuovo futuro del lavoro, più inclusivo.
Dietro i numeri, tuttavia, ci sono sempre storie, esperienze; e sono queste che ci formano, che ci fanno diventare, sin da bambine, le donne che saremo.
Gender gap e stereotipi
Lo sappiamo. Per le donne occupate, in Italia, la situazione è poco rosea: forme contrattuali precarie, discontinuità, cure familiari principalmente a loro carico, sovraistruzione rispetto al lavoro svolto, retribuzione insufficiente, possibilità limitate di carriera, segregazione in determinate professioni sono le costanti che caratterizzano una parte significativa del lavoro al femminile in Italia.
Dove affonda le radici questo scenario? Nel divario di genere e in tutta una serie di stereotipi sul ruolo e le capacità delle donne.
Il divario di genere è una forma di discriminazione, un fenomeno che appare interiorizzato non solo dagli uomini ma anche dalle donne stesse. Stereotipi di genere sulla maternità: le madri non vogliono fare carriera. Oppure sulla leadership: le donne non sono capaci di comandare.
Troppo spesso, le donne aderiscono a modelli sociali mutuati dalla tradizione e dall’educazione familiare ma che non sono conformi alle reali necessità di realizzazione personale e di contributo alla società che si potrebbero auspicare.
Da dove prendiamo questi modelli, che una volta cresciute diventano gabbie? Da bambine, per la precisione a 6 anni. All’età di 5 anni, infatti, maschi e femmine sono ugualmente propensi ad associare l’intelligenza nei bambini al loro genere di appartenenza. Solo un anno dopo, le bambine sono già molto meno propense ad associare l’intelligenza al proprio genere. Se devono pensare a un personaggio molto intelligente, al protagonista di una storia, molte di loro scelgono un personaggio maschile.
Donne e STEM
E lo stereotipo che non vede le donne portate per le materie scientifiche? Forse l’abbiamo addirittura pensato di noi stesse.
Ancora una volta, i dati ci danno ragione. La rappresentanza delle donne in ambito STEM parla da sola: scienza, tecnologia, ingegneria e matematica sono, infatti, studi scelti all’università solo nel 18% dei casi da donne. Perché? Secondo la ricerca europea “European Girls in STEM” della London School of Economics, l’interesse della maggioranza delle ragazze per le materie Stem in Italia si sviluppa verso gli 11 anni e mezzo per poi iniziare a calare verso i 17 anni.
Eppure, in un mondo nel quale la tecnologia è onnipervasiva, la conoscenza di queste materie diventa fondamentale per la partecipazione a un mercato del lavoro che in questo momento vede protagonisti gli uomini non solo numericamente ma anche con condizioni retributive nettamente migliori.
Allora, ancora una volta, perché? Principalmente per una ragione: smettiamo di crederci. Le giovani italiane sanno che non esistono pari opportunità, perché non hanno modelli femminili a cui ispirarsi e che dimostrino loro che ce la possono fare e, infine, per il fenomeno della peer group pression, per il quale le ragazze tenderebbero a perdere interesse per le materie STEM se anche il gruppo di amiche lo perde.
Il valore del lavoro delle donne
Si arriva poi all’incontro con il mercato del lavoro. Il divario di genere penalizza le donne nella carriera, nella famiglia, nell’equilibrio tra vita personale e vita professionale.
Non solo: l’assenza della piena realizzazione delle donne nel mondo del lavoro rappresenta un mancato guadagno per l’intera società.
Condividiamo a tal proposito uno spunto interessante: cosa succederebbe se tutte le donne attualmente disoccupate in Italia lavorassero? Secondo la Banca d’Italia il tasso di occupazione femminile arriverebbe al 60% e il PIL aumenterebbe del 7%.
Si tratta di un’ipotesi che ci fa avere un’idea delle dimensioni del potenziale ancora inesplorato quando si parla di impatto (positivo) del lavoro delle donne.
L’esperienza di Piano C
Lo scenario è complesso, occorre creatività e consapevolezza dei propri talenti per muoversi in modo strategico nelle proprie scelte per ottenere l’equilibrio e la soddisfazione che tutti meritiamo nella nostra vita.
In Piano C sappiamo bene quanto il potenziale inesplorato sia una risorsa fondamentale per migliorare non solo le condizioni lavorative delle donne ma la loro realizzazione come persone in cui la dimensione professionale sia perfettamente integrata con quella familiare e sociale.
Il percorso per arrivare alla parità di genere nel mondo del lavoro è lungo e inizia fin da bambine. Le pari opportunità non sono solo auspicabili: esse permettono alla società di arricchirsi di contributi originali e unici, di nuovi modelli di leadership e nuove sinergie tra i generi per contribuire allo sviluppo del Paese in un’ottica inclusiva e plurale.
La Giornata Internazionale della Donna ci ricorda il bisogno di immaginare un nuovo presente e costruire un futuro migliore, integrando sempre più la parità di genere nel lavoro all’interno del dibattito politico e civile del nostro Paese. Per far sì che sia la festa di tutte, delle donne che ci sono e di quelle che verranno.