Ogni decisione spesso è accompagnata da una grande paura: quella di fallire, magari a pochi passi dal traguardo. Tuttavia, il fallimento si può trasformare in un punto di partenza con la consapevolezza che un percorso di vita rettilineo non esiste, anzi, sono gli ostacoli superati a determinare la vittoria.

Wonder Stories è lo spazio in cui vogliamo condividere storie di persone, di carriere e di lavori. Cominciamo con alcune storie che raccontano della presenza delle donne nel mondo del lavoro, e di come ogni parabola professionale possa mutare obiettivo o direzione. Siete curiosə?

In collaborazione con Piano C, che si occupa di ri-progettazione professionale ed empowerment femminile, scopriremo le storie di donne che hanno saputo prendere in mano la propria carriera e ridisegnarla a propria misura.

Molto spesso brillanti figure professionali hanno avuto un percorso non lineare, soprattutto nel mondo del lavoro odierno, in piena rivoluzione. Le porte in faccia, nella vita o nel lavoro, possono essere molte… soprattutto (aggiungiamo: purtroppo) se sei una donna.

Lo scopo di questo spazio è quello di raccontare storie che abbattono alcuni degli stereotipi più comuni per essere d’ispirazione a tuttə. Perché non è vero che avere una brillante carriera esclude la famiglia; non è vero che ci sono professioni “maschili” e “femminili”; e non è vero che si deve avere le idee chiare fin da subito sul proprio futuro.


Ricordate: non c’è una sola via, il nostro talento è multiforme, e si plasma lungo il percorso.

Buona lettura!


Montserrat Fernandez Blanco – Cultural manager, co-founder di DIAGONAL e organizzatrice per l’Italia delle FuckUp Nights

«Il mio primo fallimento è stato intorno agli otto, nove anni. La scuola organizzava una volta alla settimana un corso di nuoto in un sporting club, e io come quasi tutta la classe ero iscritta. Quella mattina stavamo imparando i tuffi di testa, e quando arrivò il mio turno mi bloccai. Andai in totale confusione. Ferma sul blocco di partenza, sentivo la voce dell’insegnante che mi incitava, la presenza dei compagni dietro di me, ma niente, non riuscivo a muovermi. Dopo un tempo che mi sembrò infinito mi buttai in acqua a caso, di piedi, e tornata a casa piansi».

Montserrat Fernandez Blanco è una donna intelligente, che sa che quando la vita dà tu puoi prendere, e quando la vita toglie… beh, fa parte delle regole. Cresciuta a Barcellona in una famiglia che aveva l’abitudine di raccontare e raccontarsi senza pudori, dal sesso alla morte, da bambina Montserrat studia molto, ama progettare e si appassiona alla recitazione. Inizia teatro a sei anni e a nove si lancia nella realizzazione della sua prima opera: il risultato è una boiata pazzesca. «Molto male, Montse, molto male» si dice da sola. Si mette in un angolo e analizza il fallimento, per poi continuare a fare teatro fino all’ultimo anno di liceo. Allo spettacolo finale un nuovo fallimento: sale sul palco e si blocca. Riesce comunque ad andare avanti, ma sente di aver provato una paura che per qualche minuto l’ha sopraffatta. A causa di questa paura rinuncia a iscriversi all’Università per le Arti sceniche di Barcellona.

Questo per Montserrat sarà il peggiore dei suoi fallimenti: aver fallito per paura di fallire.

Si iscrive quindi a Lettere e fa l’Erasmus in Italia, a Palermo, si innamora del nostro Paese e di un italiano e così decide di restare. Le chiedo: «È ancora il tuo fidanzato?» e Montserrat risponde: «Ovviamente no». E mi fa ridere, molto. Mi permetto di ridere perché so che le scelte fatte per amore sono belle, ma a volte durano più dell’amore stesso. Però Montserrat mi racconta anche che è stata una storia bellissima, che sono rimasti molto amici, tanto che i figli di lui la considerano loro zia e che durante il lockdown hanno passato il Natale tuttə insieme vivendosi come congiunti. Che lasciarsi è stato un fallimento, un passaggio difficile e doloroso. Ma un successo oggi, per quello che sono riuscitə a conservare e costruire.

Dopo la laurea Montserrat inizia a lavorare in Fondazione ENI, ma sente che non è la sua strada; lì però conosce Alberto Masetti Zannini, che stava portando in Italia Impact Hub, tra i primi spazi di coworking al mondo. Montserrat decide di lasciare la Fondazione e dedicarsi allo sviluppo di questo progetto. Crede nell’idea di uno spazio per far crescere giovani imprese e business legati alla sostenibilità e all’innovazione, ma dopo un anno di lavoro non retribuito inizia a pensare di essere di fronte a un nuovo fallimento. Per guadagnare qualcosa aggiunge all’impegno per Impact Hub l’impiego di cameriera in un catering; il primo giorno torna a casa e piange. Ma il catering è delle sorelle di Pippa Bacca e Montserrat, superato il blocco del giudizio su se stessa, si diverte tantissimo.

Intanto Montserrat riflette, e rielabora. Quello che ha sotto gli occhi tutti i giorni non è solo il suo fallimento; in Impact Hub riscontra quotidianamente che la retorica del successo, della start-up vincente, si scontra con la realtà di idee che muoiono, imprese che naufragano, persone che dedicano anni della loro vita a coltivare un progetto senza guadagno alcuno per poi rinunciare, e con l’assenza di una narrazione che dà evidenza di tutto questo.

Montserrat si rende conto che manca un’educazione al cambiamento; la gran parte delle narrazioni ci racconta la storia di personaggi che attraversano prove, difficoltà, grandi sconvolgimenti, per poi giungere a un momento di pace, godendo finalmente di quanto ottenuto. E invece le nostre vite sono in costante mutamento, il momento di pace non arriva, e sarebbe bello dirsi davvero com’è la vita, e smetterla di rincorrere un arrivo che non raggiungeremo mai. Montserrat mi cita Chimamanda Ngozi Adichie, scrittrice o come lei stessa si definisce contastorie, e il suo ormai noto discorso sul pericolo della storia unica. Quel che leggiamo, che ci raccontano, forma la nostra immagine della realtà. Non è che queste storie siano false, semplicemente non sono le uniche storie possibili.

Fallire è la cosa più umana del mondo; certo, è uno schifo, e se possiamo evitarlo, lo evitiamo. Ma fa parte della vita, e ci succederà tante volte di essere sconfittə, di perdere. Come possiamo trovare una maniera più sana per vivere questi momenti? Scoprendo tutte le narrazioni possibili del fallimento. Invece ci sembra di essere in una dittatura della felicità nella quale non c’è solo un’unica narrazione del successo, ma anche un’unica narrazione del fallimento.

Mentre Montserrat continua la sua ricerca sul fallimento, conosce una delle fondatrici di Impact Hub Messico, che le racconta la sua ossessione: capire perché le start-up falliscono. E le descrive anche un nuovo progetto, le FuckUp Nights. Oggi sono eventi che si svolgono in 321 città al mondo, che hanno raccolto 15.000 storie di fallimento e coinvolto un pubblico di un milione di persone. Ma nel 2012 si trattava solo di una serata che avevano realizzato due o tre volte a Città del Messico per affrontare pubblicamente il tema del fallimento. Montserrat decide di portare il format in Italia, e di invitare ogni sorta di professionistə: ingegnerə, designer, scrittorə, attorə. A chi interviene viene richiesto il coraggio di condividere apertamente e senza filtri il momento più difficile della loro vita. Esattamente all’opposto degli eventi TED che riguardano le idee che vale la pena diffondere, le FuckUp Nights rovesciano il concetto. Errori che vale la pena raccontare.

Dal 2015 alle FuckUp Nights in Italia, di fronte a un pubblico di 10.000 persone, hanno condiviso la loro storia imprenditori e imprenditrici, sportivə, artist​​, scienziatə, maker.

Si può anche fallire alle FuckUp Nights: c’è chi si tira indietro all’ultimo, chi racconta la sua storia minimizzando il fallimento, o evidenzia più che il fallimento in sé il successo che ne è seguito.

Perché quando fallisci, come ha raccontato lo scrittore Roberto Saviano in una delle serate, nel farti domande su di te, sul contesto, sul perché, scopri te stessə. E a volte anche raccontare serve a chiudere una parte del proprio passato e andare avanti. È una parte buia di noi, che spesso non vogliamo mostrare all’esterno né tantomeno a noi; l’esercizio che facciamo è allontanarci il più possibile dal fallimento, lasciarcelo alle spalle, inseguire di nuovo un’immagine vincente. Ma quanto è triste non mostrarsi nella propria interezza.

Anche Montserrat è stata relatrice a una delle FuckUp Nights: per capire cosa vuol dire, per essere la prima a dimostrare di avere quel coraggio lì, perché anche i suoi fallimenti potessero essere utili.

E in fondo, ripensando a quella mattina lì, sul blocco di partenza ho fatto esattamente questo: non sono scesa, non ho rinunciato. Mi sono buttata, con quel che ero, con quel che sapevo fare. Ho fallito, l’ho mostrato. Tentare, sbagliare, imparare dall’errore. Cercare una nuova strada, e di nuovo tentare. Fino al prossimo fallimento.