Cause, fasce d’età coinvolte e le strategie del governo per contrastare la fuga di talenti dal Paese
La fuga di cervelli è un fenomeno sempre più diffuso che ha un impatto significativo sull’economia dei Paesi. Lo Stato investe risorse nella formazione di giovani talenti, ma molti di loro decidono di cercare opportunità all’estero, lasciando un vuoto nella forza lavoro locale.
Ma cosa spinge giovani ragazze e ragazzi a trasferirsi all’estero? Quali fasce d’età sono più coinvolte? E quali misure sta adottando il governo italiano per affrontare questo problema? Se ti stai chiedendo perché tanti coetanei stanno pensando di partire, sei nel posto giusto. In questo articolo esploreremo il fenomeno della fuga di cervelli e analizzeremo alcuni dati aggiornati.
Cos’è la fuga di cervelli?
L’ espressione fuga di cervelli indica la migrazione di professionisti altamente qualificati che lasciano il proprio Paese per cercare migliori opportunità all’estero. Questo fenomeno ha un impatto rilevante sullo sviluppo nazionale perché l’Italia, pur essendo nota per il suo sistema educativo di qualità, perde molte risorse umane formate con investimenti pubblici.
Negli ultimi dieci anni circa 1,3 milioni di persone hanno lasciato l’Italia per vivere all’estero, secondo i dati della Fondazione Nord Est e Eurostat: inoltre, solo dal 2020, oltre 70.000 italiani si sono iscritti all’AIRE (Associazione Italiani Residenti all’Estero), registrando la loro residenza all’estero.
Perché scegliere l’estero?
Molti giovani lasciano l’Italia in cerca di migliori opportunità di lavoro. Le economie più dinamiche e i settori in crescita in altri Paesi europei risultano più attraenti rispetto alle prospettive offerte dal mercato italiano. Inoltre, il 65% degli under 35 afferma di emigrare per difficoltà a trovare lavoro a causa della richiesta di esperienza, secondo un report dell’Osservatorio sull’Innovazione Digitale.
Altri motivi includono la scarsa propensione delle aziende italiane ad assumere giovani o la preferenza per laureati, e la percezione di una mancanza di meritocrazia e di una burocrazia inefficiente. In molti casi, la prospettiva di una carriera internazionale e una qualità della vita migliore spingono i giovani a cercare fortuna all’estero.
Quali sono le fasce d’età più coinvolte?
La fuga di cervelli è un fenomeno che coinvolge persone di diverse età e settori, ma colpisce in modo particolare alcune categorie. Tra i più interessati infatti troviamo i giovani laureati, spesso appena usciti dall’università, che faticano a trovare in Italia opportunità lavorative coerenti con il loro percorso di studi: tra loro, molti scelgono di trasferirsi all’estero per avviare una carriera in linea con le competenze acquisite.
Non sono esenti nemmeno i professionisti altamente qualificati, come medici, ingegneri e ricercatori scientifici. Tra queste figure infatti sono molti coloro che cercano all’estero ambienti di lavoro che valorizzino meglio il loro talento. Lo stesso vale per creativi e imprenditori, attratti da contesti più dinamici e stimolanti, sia in Europa che oltreoceano.
La strategia del governo italiano per contrastare questo fenomeno
Il governo italiano sta da tempo lavorando su misure per incentivare il rientro dei talenti emigrati e per trattenere quelli ancora presenti. Tra le proposte in esame, c’è la possibilità di offrire sgravi fiscali e agevolazioni per l’acquisto della casa a giovani professionisti rientrati in Italia, riducendo così le barriere che spingono molti a trasferirsi all’estero.
Sono inoltre in corso sforzi per semplificare i processi burocratici e creare un ambiente imprenditoriale più meritocratico: tra questi, incentivi fiscali mirati alle piccole imprese, che potrebbero attrarre imprenditori italiani ed esteri.
Un’altra misura significativa riguarda i giovani ricercatori: grazie al Decreto Legge n.13 del 24 febbraio 2023, coloro che ottengono contratti a tempo indeterminato possono beneficiare di un esonero contributivo fino a 7.500 euro. Allo stesso tempo, il PNRR ha stanziato circa 150 milioni di euro per l’assunzione di oltre 20.000 ricercatori entro il 2026.
Il governo sta anche lavorando su un aumento salariale fino al 30% per ricercatori e ricercatrici che decidono di tornare in Italia, una misura destinata ai vincitori di borse di studio dell’Unione Europea che scelgono di condurre le proprie ricerche presso università italiane.
Infine, a partire dal 2024, sia i dipendenti che i lavoratori autonomi che hanno vissuto all’estero per almeno tre anni potranno beneficiare di una riduzione del 50% delle tasse per un massimo di dieci anni, senza limiti sul reddito annuo.