E invece, la vita ha aperto altre strade. Piano C ci racconta la storia di Luciana Ciceri, Amministratrice Ciceri de Mondel, Vicepresidente A.P.I. Associazione Piccole e Medie Industrie

Cambiare la propria strada è qualcosa che può succedere, ed è molto più frequente di quanto non crediamo. Non sempre riusciamo a realizzare i nostri sogni, e non sempre il nostro percorso è lineare e ci porta a fare il lavoro che pensavamo.
Abbiamo scelto di raccontare le storie di alcune donne che hanno costruito la propria storia sui cambiamenti che la vita ha riservato loro, e abbiamo scelto di farlo in collaborazione con Piano C, che da anni sostiene il Women Empowerment e supporta donne di tutte le età a coltivare il proprio talento e raggiungere i loro obiettivi.

La storia di Luciana Ciceri

Ho sempre avuto la passione per la scrittura. Mi piace, è la mia forma, il mio modo di ritrovarmi. Ma quando devi raccontare la vita di qualcuno che esiste, è reale, ti fai un sacco di domande. Ecco, con Luciana me ne sono fatte un paio in più. Sarà che ho conosciuto solo un’altra Luciana, che di mestiere faceva davvero l’insegnante, e che ha rivoluzionato la sua esistenza più di quanto avesse in origine previsto. Sarà che in alcune vite ti riconosci, un po’ sono la tua, un po’ ci somigliano. Sarà, ma di questo inizio avevo bisogno, perché non è stato facile iniziare. 

Luciana voleva fare l’insegnante. Come sua nonna. Di matematica. Come sua madre, come mia madre. Perché in quel mestiere fatto con così tanta cura aveva letto la passione, la missione. E quando vedi qualcuno mettere così tanta passione in quel che fa, pensi che quel che fa sia davvero speciale. Poi, dopo essersi laureata in matematica, Luciana inizia a dubitare di questo sogno, a vederlo piccolo, poco ambizioso: non era più quello che desiderava. Come è capitato a me, proprio subito dopo la laurea. 

Ed ecco il primo appuntamento col destino: Credit Suisse cerca matematici, chiama lei. Hanno selezionato il suo profilo dall’elenco dei giovani laureati, vogliono sperimentare internamente cosa succede quando un matematico puro incontra la finanza. Suona come una grande opportunità, Luciana è felice, accetta. Saranno in realtà anni difficili, impegnativi, provanti. 

Comincia la lotta con se stessa: Luciana è stata catapultata in un mondo di cui non conosce nulla, altamente competitivo, che non risponde né al suo modo di essere né ai suoi desideri, e si sente completamente impreparata. Caparbiamente continua, cresce, studia, ma è una forma di resistenza. Non è il posto per lei, non è lì il suo futuro. La fatica inizia a essere troppa, se ne è smarrito il senso.

Proprio a questo punto della sua vita incontra colui che diventerà suo marito. Si frequentano, si piacciono. L’inizio è faticoso, ancora una volta; Antonio sta affrontando un percorso di guarigione complesso che vivono insieme lui e Luciana, affrontano insieme, portano a termine insieme e che insieme li porta all’altare. Tutto si è risolto, il respiro si fa sereno, è tempo di sognare. Nel ’98 decidono così di assecondare un grande desiderio di Antonio: acquistano un vecchio Range Rover, e con i loro risparmi si buttano in un viaggio che li porterà in Grecia Turchia, Iran, India, Nepal, e poi dopo aver imbarcato la macchina in un container in Sud Africa, Zimbabwe, Botswana, Namibia, e infine a casa. Un anno in viaggio, fuori e dentro.

Di nuovo nel proprio elemento, Luciana torna al suo desiderio ricorrente: insegnare matematica. Quello che sa fare, quello che può fare, quello per cui si sente portata. Scuola di abilitazione, tirocinio. Nel frattempo, Luciana diventa mamma di Francesco e Alberto, e questa esperienza la cambia, la fa dubitare per la seconda volta del suo sogno. Non riesce a pensare di lasciare i bambini a casa e andare a lavorare, non se la sente. 

Ed ecco un nuovo tornante, che in sé ha il sapore del ritorno. Perché Luciana ha una storia importante alle spalle, una storia che la precede. Nel 1917 a Milano, in piena Prima Guerra Mondiale, l’artigiano Egidio, il suo bisnonno, si era buttato nell’impresa di produrre medaglie commemorative. Questo primo laboratorio, la Ciceri Egidio, era diventata un’azienda familiare, che ha continuato nei decenni a trasformarsi seguendo le tendenze, il mercato: dalle minuterie metalliche alle cornici, dall’incorniciatura degli specchi sino alla sostituzione delle cornici in metallo a fine anni ’50 con le prime plastiche termoindurenti, dalla termoformatura delle lastre in plastica acquistate sino alla produzione in proprio delle lastre termoplastiche estruse. Negli anni a Egidio è subentrato il figlio, Pietro, poi il padre di Luciana e i suoi fratelli. Anche il marito di Luciana, Antonio, ha iniziato a lavorare nell’azienda di famiglia, come ingegnere. 

La proposta per lei è nell’aria: perché non entrare in azienda? Il padre e il marito insistono: Luciana potrà cominciare con i suoi tempi, vivendo la sua esperienza di madre a pieno grazie a orari flessibili e mansioni semplici. Sembra una buona opportunità, Luciana accetta.

Le prime mansioni sono effettivamente semplici: smaltimento rifiuti e regali di Natale. Una versione alternativa di fotocopie e caffè. Luciana inizia però a riempire gli spazi vuoti. Le viene naturale, lei c’è dove serve: dapprima come assistente alla contabilità, poi come responsabile sicurezza, nella gestione del personale, la comunicazione con i fornitori, la registrazione del marchio, l’organizzazione delle fiere. Lei c’è, ma soprattutto lei è dappertutto. Questo mettersi continuamente al servizio le dà una visione olistica dell’azienda, dei bisogni e delle potenzialità. Le persone si rivolgono a lei, cercano lei. Un’azienda che era passata di padre in figlio, di fratello in fratello, ora cambia gestione, e genere: Luciana diventa amministratrice unica.

E con il nuovo ruolo, torna il senso di inadeguatezza. “Sarò in grado?”, si chiede Luciana. Questa volta si studia, si ascolta; si scopre una leader diversa, che mette la famiglia al centro e al contempo vive anche l’azienda come la sua famiglia. Che dà importanza alle relazioni, perché l’azienda è piccola e ci si vuole bene. Che si mette al servizio, lo ripete spesso, e la sua passione, la sua dedizione sono contagiose.

A ogni nuovo passo cresce la consapevolezza, aumenta la sicurezza. Luciana ha capacità di visione; quando suo marito diventa un maker, un appassionato di stampa 3D, e siccome non riesce a trovare un prodotto che lo soddisfi adatta nel laboratorio dei colori dell’azienda un estrusore per produrre del filamento in proprio, Luciana intuisce l’opportunità di un nuovo mercato, e crea una business unit per la produzione dei filamenti di stampanti 3D. La sua visione porta l’azienda a essere oggi leader nella produzione di questi filamenti con il marchio Filoalfa.

Negli anni Luciana trova una sua risposta al senso di inadeguatezza: lo studio. Da aspirante insegnante diventa studentessa del Master in sostenibilità della Business School dell’Università di Bologna. Sente infatti che la vera sfida per un’azienda che trasforma materie plastiche, un semilavorato che non degrada, è interpretare il futuro, impegnandosi come azienda e aiutando produttori e consumatori a trasformare quella che è la caratteristica più nociva della plastica, il suo essere indistruttibile, nella potenzialità di un suo riuso senza fine. È così che la sua azienda, che ora si chiama Ciceri De Mondel, nel 2020 ha ottenuto il marchio “Plastica Seconda Vita”, un sistema di certificazione ambientale di prodotto dedicato ai materiali e manufatti ottenuti dalla valorizzazione dei rifiuti plastici.

Oggi Luciana ha 50 anni da poco, e francamente, non che importi, non li dimostra. L’ho appena vista in aula: con umiltà e passione ha raccontato la sua storia, per aiutare altre donne a ritrovarsi ora che la strada a loro sembra interrotta. Non è un vero e proprio insegnare, non è nel suo stile, piuttosto un condividere. L’altra Luciana l’ho chiamata ora, dopo moltissimo tempo. All’inizio la telefonata è stata anche strana, poi solo bella.

Lucilla Tempesti
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